Embargo del petrolio russo? Le aziende non temono di restare 'a secco', ma spaventa l'impatto indiretto. «La maggior parte dell'energia dipende dal gas. Il nostro Paese importa dalla Russia 1'11% del petrolio totale, quindi si tratterà di capire se riuscirà a rimpiazzarlo con altre fonti, utilizzando il trasporto via mare - spiega Pierluigi Cordua, presidente Apindustria Brescia -. La preoccupazione è più che altro sull'impatto indiretto, perché il prezzo al barile è aumentato e questo si riverbera sui combustibili. Inoltre, ci si aspetta un rimbalzo dell'inflazione, che, probabilmente, porterà ad interventi del Governo che peseranno sul debito pubblico». Analoga l'analisi di Giovanni Marinoni Martin, presidente settore siderurgia di Confindustria Brescia, nonché a capo di Ori Martin. «Il dubbio che oggi c'è sul mercato - sottolinea - è che possa esserci una riduzione di prodotti petroliferi entro l'estate, anche se è difficile ora fare previsioni. Il pericolo più sottile, a mio avviso, che l'Europa possa uscirne indebolita nel suo ruolo di centro del commercio internazionale. Se prima tutto il petrolio era pagato in dollari, ora quello russo, che andrà molto di più in Cina, comincerà a essere trattato in renminbi. Noi, da importatori, ci troveremo tra due poli, quello americano e quello russo-cinese». Cosa fare? «Abbiamo più di 20 gigawatt di energia rinnovabile ferma, pari a 10 miliardi di metri cubi di gas: bisogna rendere più libere e facili le installazioni», l'appello di Marinoni.