«È un suicidio». Non sceglie la diplomazia Fabrizio Cellino, presidente di Api Torino e voce delle piccole e medie imprese metropolitane. Tre parole per commentare la decisione confermata dall'Europa sul 2035 come stop alla produzione di automobili a benzina o a diesel. Una mannaia, secondo Cenino, che rischia di abbattersi su Torino e Piemonte, dove con le auto a motore endotermico si convive (e si vive) da oltre un secolo. A preoccupare le pmi, in particolare, non è il principio in sé («Se si ragionasse in termini di filiere complessive ci sarebbe un'impossibilità tecnologica, ma avrebbe un senso»), ma l'architettura alla base: «Mi pare un assurdo farlo solo in Europa, con batterie prodotte principalmente dalla Cina, tra l'altro anche con fonti energetiche ad alto impatto ambientale». Proprio la Cina spaventa: perché se la fuga dai combustibili fossili ha ragioni ambientali, ma anche "politiche" (sottraendosi alla dipendenza dai paesi produttori, Russia compresa), sposare in pieno l'elettrico significa semplicemente spostare il vincolo verso Pechino. «Non ha senso imporre una soluzione tecnica che ci mette nelle mani dei fornitori cinesi. Bisogna trovare una soluzione europea» è il pensiero che ha espresso nei giorni scorsi anche Giorgio Marsiaj, presidente dell'Unione Industriali e ribadito ieri, in occasione della presentazione della Fiera A&T che si terrà all'Ovai dal 22 al 24 febbraio. Cellino sposa la linea: «Rischiamo di spostare il problema inquinamento togliendolo a noi e aumentandolo nel resto del mondo . Inoltre ci suicidiamo in termini di occupazione e dell'industria che abbiamo creato in 50 anni. È un'assurdità totale sotto tutto i punti di vista, sia green sia sociali. Non posso e non voglio credere conclude che da qui al 2035 non verranno fatte modifiche e trovate mediazioni». Anche il settore artigiano è preoccupato: «Prendiamo atto della scadenza Ue - dice Nicola Scarlatelli, presidente di Cna Torino - ma mancano risposte importanti su temi rimasti in sospeso». E il discorso Cina torna prepotente: «Non si può non ragionare sull'impatto occupazionale, mentre quello di dipendenza nuovamente da altri Paesi sarà uguale se non maggiore all'attuale». Poi ci sono gli aspetti pratici: «Ilrispetto del clima non può coinvolgere un solo settore trascurando tutti gli altri. Senza dimenticare che ci sono paesi che non rispettano minimamente questi obiettivi. E infine, da qui al 2035, abbiamo idea di cosa significhi rottamare milioni di auto?». Infine l'indotto, che a soffrire è abituato: «Sul nostro territorio ormai il grosso urto è già avvenuto anni fa e abbiamo resistito. Mi preoccupano gli altri stabilimenti in Italia: se passiamo all'elettrico, cosa produrranno a Melfi, Cassino, Pomigliano o in Val di Sangro?».