Le piccole e medie imprese del Friuli Venezia Giulia sono in affanno. Il problema, questa volta, non è la crisi, la pandemia o l'aumento del costo delle materie prime. La criticità più grande è la mancanza di personale da inserire in azienda. Scarseggiano le nuove leve in grado di sostituire chi sta andando in pensione, e quei pochi giovani che escono dagli istituti tecnici o sono già "opzionati" dai grandi gruppi industriali o preferiscono proseguire nel loro percorso di studi. È la tendenza portata alla luce da un'indagine condotta da Confapi Fvg, la Confederazione italiana della piccola e media industria, con il suo presidente, Massimo Paniccia, che non esita a definire «preoccupante» il quadro emerso. La rilevazione, ancora in corso, consiste in un questionario rivolto alle piccole e medie imprese di tutti i settori (manifatturiero, costruzioni, trasporti e logistica, servizi all'industria), nell'ambito del quale sono state poste domande sulla consistenza del problema, sulle sue articolazioni per profili professionali e tipologie contrattuali, sulle possibili cause. Dal primo aggregato di risposte, come mette in evidenza la direttrice di Confapi Fvg, Lucia Cristina Piu, emerge che la totalità delle imprese (il 98,7%) è alla ricerca di nuovi lavoratori da assumere, con un fabbisogno tra 1 e 5 unità per 1'84,4% degli intervistati, per fasce comprese tra 6 e 10, se non addirittura oltre le 10 unità, per il restante 15,6%. In valore assoluto, sono i settori metalmeccanico, dell'edilizia e del legno-arredo a manifestare le maggiori necessità in termini di personale. Ma il fenomeno appare generalizzato anche agli altri comparti attivi in regione, primo tra tutti quello dei trasporti. In quest'ultimo caso la penuria di autisti è ormai cronica, a tal punto che diverse aziende sono costrette a lasciare i camion fermi nei parcheggi. Tornando all'indagine promossa da Confapi, per tutte le imprese, indistintamente, vi sono difficoltà di reperimento di personale giudicate rilevanti per il 79,2% degli intervistati. A preoccupare sono anche i tempi necessari per la ricerca e la selezione: per il 77,9% sono superiori a 3 mesi fino a oltre un anno, con la conseguenza che, se anche le imprese riuscissero a trovare i profili desiderati, questi non sarebbero disponibili nell'immediato ma solo nel medio periodo. Ma quali sono le cause di una simile situazione? Per gli imprenditori friulani, le principali ragioni sono individuabili negli odierni stili di vita e nelle aspettative di lavoro delle nuove generazioni, diverse da quelle offerte dal mercato e, in parte, indotte dalle esperienze sviluppatesi in seguito all'emergenza pandemica, come ad esempio lo smart working. Seguono la scarsità di competenze e di preparazione, e le misure assistenziali poste in essere dallo Stato e da altri soggetti pubblici. Queste ultime paiono aver avuto un effetto disincentivante sull'approccio al mondo del lavoro, anche sotto il profilo della mera convenienza economica. Quanto all'effetto da Covid-19 sul mercato occupazionale, il 41,6% delle imprese ha riscontrato un numero crescente di dimissioni volontarie rispetto al periodo prepandemico. Circostanza che pone il problema di come trattenere il personale in azienda. Il profilo professionale di cui maggiormente si avverte la mancanza è quello degli impiegati tecnici (51,1%), seguiti per il 43,1% dagli operai, specializzati e generici, e dagli addetti di equivalenti mansioni (per esempio conducenti di veicoli e macchine operatrici). Più distanziati gli impiegati amministrativi, i commerciali e i profili legati al mondo Ict. Non si avverte, invece, un significativo deficit di dirigenti e di quadri. Quanto alle tipologie contrattuali a cui le imprese sono orientate per l'assunzione di nuovi lavoratori, ai primi posti si collocano i contratti a tempo determinato (45,6%, anche se con la volontà di procedere a una futura stabilizzazione), seguiti da quelli a tempo indeterminato (33,9%). In percentuali inferiori si posizionano le altre tipologie contrattuali come la somministrazione o l'apprendistato. «L'ampiezza e la caratterizzazione del fenomeno, generalizzato in tutte le categorie di imprese e, praticamente, in tutte le tipologie professionali - commenta il presidente Paniccia - presenta il rischio di porsi non solo come problema professionale, ma pure come disaffezione dal lavoro specie nelle giovani leve, tale da assumere una dimensione generazionale. C'è bisogno di nuove politiche che avvicinino i giovani alle imprese, già in periodo scolastico, e di promozione anche culturale del lavoro», chiude Paniccia.