Serve equilibrio. Anche perché l'inflazione pesa, e tanto, sui conti delle aziende. E dunque, se il mondo dell'impresa sa che un aumento dei salari è inevitabile, nello stesso tempo, chiede di legarlo alla crescita della produttività e sollecita il governo a fare anche un passo in più, magari «detassando anche per un periodo di tempo determinato gli incrementi in busta paga che potrebbero arrivare dal rinnovo dei contratto di lavoro in scadenza», spiega Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti alle prese con il rinnovo degli accordi per i lavoratori del terziario e del turismo che sono scaduti. Ma soprattutto le imprese chiedono tempi certi per arrivare al taglio del cuneo fiscale, perché «l'Italia è tra i Paesi dell'area Ocse ad avere la maggiore contribuzione fiscale e previdenziale e il cuneo toglie troppe risorse alle imprese che potrebbero investire in innovazione e formazione e ai lavoratori che potrebbero avere più soldi in tasca e quindi maggiore potere d'acquisto», spiega Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, e una delle voci di un mondo che dà lavoro complessivamente a 1,3 milioni di addetti. Dunque, se al prossimo tavolo con le parti sociali il premier Mario Draghi si presenterà con un pacchetto di proposte per aumentare i salari il mondo dell'impresa non si opporrà ma lavorerà per portare a casa alcune di queste richieste. Corrado Alberto, presidente dell'Api di Torino, la spiega così: «È chiaro che non si può pensare a tenere fermi i salari di fronte ad un'inflazione crescente, anche perché dobbiamo far di tutto per evitare la stagflazione ma insieme ai sindacati dobbiamo anche capire quanto di questi rialzi siano strutturali e quanto legati alla speculazione. E comunque agli aumenti salariali deve corrispondere anche un incremento dell'efficienza sui posti di lavoro, cioè serve più produttività». Anche Gardini la pensa così: «Aumentare i salari senza intervenire sulla produttività alimenterebbe una pericolosa spirale inflattiva». Dunque, si deve intervenire sul taglio del cuneo fiscale che per metà dovrebbe finire nelle buste paga dei lavoratori e l'altra metà alle imprese. Ma il presidente di Confcooperative solleva un'altra criticità: «C'è il problema dei mancati adeguamenti dee tariffe da parte dei committenti con la pubblica amministrazione in testa. Due enti pubblici su tre a distanza di tre anni dal rinnovo del Ccnl delle cooperative sociali non hanno adeguato le tariffe. Tutti gli oneri sono in capo alle imprese a cui non viene riconosciuta la qualità dei servizi». Bussoni, invece, è alle prese con il rinnovo dei contratti del terziario e del commercio sono circa 5 milioni i lavoratori anche di altre categorie in attesa di nuovi accordi e spiega: «È necessario individuare con i sindacati strumenti equilibrati per favorire gli aumenti salariali ma anche una riduzione del costo del lavoro partendo dalla detassazione degli incrementi». Che cosa dovrebbe fare il governo? Tiziano Treu, giusvalorista e presidente del Cnel, la vede così: «Sicuramente è necessario rinnovare i contratti già scaduti perché si è già perso troppo tempo ed è chiaro che serve un intervento del governo per aiutare le parti sociali di fronte a questa impennata inflattiva». Dunque sì al taglio del cuneo fiscale che però non sarà sufficiente a far recuperare totalmente il potere d'acquisto dei lavoratori e «toccherà alle imprese trovare le risorse integrare le risorse». Proposte? «In questo momento di incertezza è possibile e realistico percorrere la strada degli aumenti una tantum come hanno già fatto alcune imprese che permettono di reggere l'urto dell'inflazione senza alimentare la rincorsa prezzi salari». Per Treu si tratta di una soluzione che avrebbe effetti immediati e a tempo in attesa che si chiarisca il quadro economico generale per trovare un accordo complessivo così «come è stato fatto in Germania».