Quanti sono i posti di lavoro a rischio nell'automotive a causa della transizione all'elettrico? Lo studio più citato è quello targato Clepa, si parla di 6o mila posti da qui al 2o4o in Italia, 275 mila in Europa. Lo studio Està per Uilm individua invece 120 mila posti a rischio solo in Italia. Confapi parla di 195 mila posti. Queste indagini non considerano l'impatto di interventi per riconvertire il settore. Un'indagine targata Motus-E, associazione delle imprese della mobilità elettrica presieduta dall'ex ceo di Volkswagen in Italia, Massimo Nordio, insieme con Cami, centro di ricerca per l'innovazione nell'automotive guidato dall'ateneo Cà Foscari, dice che i posti in Italia potrebbero addirittura aumentare del 6%. A patto che si intervenga per accelerare la riconversione. Per costruire un'auto elettrica serve il 25-30% di manodopera in meno. Una parte dell'auto, dalla carrozzeria ai freni, non cambia. Ma il motore, di qualunque tipo esso sia, non serve più. Il cuore del veicolo diventa la batteria. Servono quindi stabilimenti in grado di produrre le batterie: le gigafactory. E poi aziende capaci di collaudare le batterie stesse e di riciclarle a fine vita. La nostra industria dell'auto è composta in gran parte da componentisti che producono parti per Stellantis ma anche per le altre grandi case europee. Si stima che il 5o% della produzione dei componentisti italiani sia destinata a case straniere e che il 30% di un'auto tedesca sia prodotta in Italia. C'è da capire quali decisioni prenderà Stellantis sugli stabilimenti nel nostro Paese. La prima vittima delle riconversione dell'automotive è la fabbrica Stellantis di Cento, in provincia di Ferrara. Nel 2018 i dipendenti erano 1.800 e producevano motori diesel per il mercato Usa. Le catene di montaggio si fermeranno a giugno e i dipendenti resteranno 400. Dal sito di Pratola Serra (Avellino) escono motori diesel per veicoli commerciali, anche questi destinati a sparire. Poi ci sono i componentisti. Criticità si registrano alla Vitesco (ex Continental) in Toscana: gli iniettori prodotti qui presto non serviranno più. Criticità anche alla Bosch di Bari e alla Marelli. Qui 480 persone sono già uscite ma sono attesi altri esuberi. Per il sindacato gli ammortizzatori sono una soluzione parziale. «Bisogna sbloccare investimenti su innovazione, politiche energetiche, infrastrutture nelle nostre città», dice il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra. La decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di nuove auto a motore endotermico dal 2035 «potrebbe avere in Italia un "effetto Cuba". La gente non potrà comprare le auto elettriche perché troppo costose, e continuerà a girare con auto sempre più vecchie» ha detto Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per filiere e medie imprese, a Zapping su Rai Radio 1. Il governo è pronto a mobilitare 6 miliardi di euro da qui al 2030 per l'automotive. Una parte andranno per gli incentivi. Da definire le politiche industriali. Quali? «E necessario diventare attrattivi per i grandi gruppi stranieri, sarebbe un risultato convincere per esempio i cinesi a investire nel nostro Paese». risponde Federico Visentin, presidente di Federmeccanica. «Wuling Motors, chi conosce questo marchio? continua Visentin -. Eppure si tratta di un grande produttore cinese di auto elettriche a basso costo. Sarebbe una via per garantire crescita e posti. Ovviamente mettendo vincoli a chi si insedia. I produttori asiatici stanno prendendo ora le loro decisioni. Nel medio periodo bisogna investire sulla crescita della dimensione delle nostre aziende. L'unica cosa che non bisogna fare e guardare indietro. Dobbiamo essere consapevoli che sulle decisioni dell'Europa ha pesato in modo determinante la scelta della grande industria tedesca di investire sull'elettrico». «Abbiamo 12 anni davanti, ce la possiamo fare incita Francesco Naso, segretario generale Motus-E -. Importanti sono due cose. Evitare di creare un clima ostile nei confronti della mobilità elettrica, potrebbe frenare eventuali investitori. E poi cercare alleanze in Francia e Germania, dove si trovano i capo-filiera dei nostri componentisti».