A gennaio i prezzi alla produzione dell'industria italiana sono aumentati del 9,7% su dicembre e del 32,9% rispetto a un anno fa. A gennaio, appunto, cioè prima che l'invasione dell'Ucraina mandasse fuori controllo i prezzi di decine di materie prime, dal gas naturale al mais, passando per il nickel e l'acciaio. A due settimane dall'inizio del conflitto le imprese italiane si trovano a fronteggiare un'emergenza imprevista e pesantissima. L'audizione di alcune delle principali associazioni imprenditoriali alla commissione Attività produttive della Camera per ascoltare i loro pareri sui provvedimenti per contenere i costi di energia e gas si è trasformata in una drammatica antologia dell'improvviso stato di crisi di interi settori. Come quello della ceramica, una delle industrie di eccellenza italiana, con un distretto fortissimo tra Modena e Reggio Emilia. La situazione, hanno detto i rappresentanti di Confindustria Ceramica, è «una vera emergenza» con elementi anche paradossali: gli ordini abbondano ma con un prezzo del gas otto volte superiore a quello di un anno fa produrre non conviene. Al problema dei costi dell'energia si è sommata la carenza di argilla, materia prima fondamentale che in tempi normali arrivava dall'Ucraina e ora non arriva più. Ci sono circa 3.500 lavoratori della ceramica in cassa integrazione, 30 fabbriche ferme, altre che lavorano a ciclo ridotto. È fermo anche il 30% delle cartiere italiane, secondo un'indagine interna condotta da Assocarta, associazione che rappresenta un settore da 8,2 miliardi di fatturato nel 2020. E con una carta il cui prezzo è raddoppiato in meno di un anno, ha segnalato la Fieg, l'associazione degli editori di giornali (che non partecipava all'audizione) «produrre informazione di qualità e diffonderla sta diventando sempre più difficile e senza interventi fortemente a rischio». Ma da questa crisi inedita non si salva nessuno. Ci sono le vetrerie (l'Italia è il secondo produttore di vetro in Europa) che non possono fermarsi anche se con queste quotazioni del gas lavorano in perdita, perché spegnere un forno che lavora a 1.600 gradi pensato per restare acceso 15 anni «semplicemente non si può, il forno una volta spento si distrugge, si perde» ha ricordato il presidente di Assovetro. Possono invece fermarsi i cantieri edili, arrendendosi a costi della materia prima troppo elevati. Difatti si stanno fermando. Anche quelli legati ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha avvertito l'Ance, l'associazione dei costruttori: «Nessuna impresa, grande, media o piccola, può reggere un impatto così rapido e devastante». Confartigianato ha fatto presente che a una microimpresa un chilowattora di elettricità costa il 360% in più di un anno fa. Gli stessi problemi sono stati sottolineati dalle coop di Alleanza delle Cooperative, dai negozianti di Confesercenti, dalle piccole imprese di Confapi e dalla filiera dell'auto rappresentata da Anfia. E al giro di audizioni non partecipavano altri settori piegati da questa situazione: ad esempio gli agricoltori, che vedono a rischio anche l'arrivo di fertilizzanti, o le industrie alimentari, spaventate dalla carenza di olio di girasole e grano tenero. Senza parlare dell'autotrasporto, con l'associazione Trasportounito che ha annunciato la sospensione dei servizi «per causa di forza maggiore» da lunedì prossimo. Davanti al rischio di stallo generale della produzione industriale italiana, il governo si sta muovendo sulla prima emergenza: il prezzo dell'energia. In attesa della strategia europea, l'esecutivo interverrà per ridurre il prezzo di gas ed elettricità anche usando uno scostamento di bilancio, ha detto Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, partecipando a un evento del Messaggero. Il tempo a disposizione per agire, fanno capire le imprese, non è molto.