Un popolo di pigri

I giovani si risveglino dall'ozio

O il futuro sarà degli africani

ALBERTO LUPPICHINI «L'ozio avvilisce e il lavoro nobilita: perché l'ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti e indipendenti (...)». Così Massimo D'Azeglio, nelle sue memorie, ammoniva gli italiani sui rischi di una meschina nullafacenza. Quasi tutti abbiamo ricevuto una educazione meticolosa, ferrea, rigidamente indirizzata alla fatica e alla sopportazione delle crescenti sofferenze quotidiane. Tutte le famiglie, di ogni provenienza ed estrazione sociale, con abnegazione si sono date da fare, senza troppi fronzoli, per ottenere un lavoro sicuro o proseguire, con dedizione, le attività dei genitori o dei nonni. C'è chi aiutava i genitori nella bottega del paesello, chi si dedicava con profitto agli studi universitari sgobbando da mane a sera per realizzare l'obiettivo di una vita; c'era chi, infine, aiutava la famiglia nei faticosi lavori dei campi, che garantivano un tenore di vita accettabile accompagnato da una dieta sana ed equilibrata. La luce che illuminava vite modeste, senza guizzi, era quella della fatica e della resilienza, dispensate a piene mani dai "vecchi" di una volta, vera e propria miniera inesauribile di buon senso e saldi principi, indispensabili per resistere alle intemperie della vita. L'esempio virtuoso degli anziani era perseguito con tenacia da giovanotti umili e determinati, desiderosi di assorbire come oro colato quegli insegnamenti e di imitarne con cura certosina lo stile di vita sobria ed essenziale. Il punto è proprio questo. Le generazioni comunicavano, in un confronto continuo e proficuo che arricchiva sia i "vecchi" saggi che i giovanotti acerbi. I quali provavano gioia, e non vergogna, ad ascoltare i loro consigli, subire rimbrotti per il loro bene, aiutarli nelle loro faticose incombenze quotidiane. Da tempo, tuttavia, il rapporto di ascolto e comprensione tra famiglie e giovani si è bruscamente interrotto. Le famiglie, indaffarate, non hanno tempo né voglia di educare i figli al sacrificio, prese soltanto dalla preoccupazione di accontentare il più possibile i loro fumosi capricci e compiacerli a dismisura nei gesti quotidiani del consumismo più sfrenato. La via maestra della fatica e dell'abnegazione si è smarrita, con una conseguenza devastante per le nuove generazioni: i giovani si sono impigriti, la mollezza dell'animo ha divorato la voglia di fare, l'ozio dilagante ha riempito le loro giornate con smartphone, computer, Playstation e chat virtuali. La vuota insensatezza della vita virtuale ha preso il sopravvento sulla realtà, dura e ripetitiva, diventata un fardello quotidiano fatto di lavoro e incombenze da sbrigare. Si sa, il lavoro è lo specchio della esistenza, ed è proprio nel lavoro che i giovanotti di oggi mostrano tutta la propria inconsistenza e una preoccupante assenza di nerbo. È vero, i dati parlano chiaro: la crisi economica aggravata dal Covid morde alle gambe, le imprese faticano a portare avanti la baracca, figurarsi se pensano ad assumere giovanotti di belle speranze ma acerbi e inesperti. Tuttavia, non si tratta certo di una novità per il nostro Paese, in stagnazione permanente più o meno accentuata a partire dalla crisi del 2008, e affossato da un debito pubblico insostenibile. Dunque, la risposta può essere soltanto una: rimboccarsi le maniche e sgobbare a più non posso. E invece, cosa fanno i nostri giovani? Preferiscono rimanere a casa al calduccio domestico, coccolati da mamma e papà e lautamente mantenuti dallo stipendio di nonni e genitori. I dati sono li a dimostrarlo. L'allarme era già stato lanciato dalla Confapi di Padova: «Gli italiani non vogliono più svolgere mansioni poco qualificate». La tendenza è stata confermata dall'INPS, che già dal 2018 avverte come i giovanotti svogliati di oggi disdegnino un impiego nei settori dell'edilizia, dell'agricoltura e dell'allevamento, della panificazione, del tessile e della pulizia. La Fondazione Moressa, nella sua indagine annuale, aggiunge ulteriori mestieri, oggi quasi esclusivo appannaggio degli immigrati: colf, baby-sitter, badanti, artigiani edili, custodi e falegnami. Un consiglio sentito ai nostri giovani: si sveglino, o lasceranno ai loro figli un Paese dove si parla solo africano.